Cosa trapela in città da quanto si legge sul carcere reatino? Un recente comunicato del sindacato SAPPE di polizia penitenziaria fornisce, collegando due diversissimi episodi, una visione che ci appare distorta.
Il primo episodio è lo sciopero della fame, della spesa o del carrello, che nei titoli diventa “rivolta in carcere”. In realtà l’iniziativa, promossa dal Partito Radicale, chiede al Ministero soprattutto la finalizzazione, con i decreti attuativi, del nuovo Ordinamento Penitenziario.
Non si capisce come una pacifica astensione dal vitto, seppur accompagnata da un po’ di rumore con cucchiai, possa essere fatta passare per “rivolta”. Tanto più quando in qualche caso, da Brindisi a Trieste, i detenuti sono riusciti anche a organizzarsi a devolvere il vitto agli indigenti “liberi”.
Anziché parlare di “rivolta”, andrebbe invece evidenziato come, nonostante le condizioni infami in cui versano la quasi totalità delle carceri specie con il caldo torrido, non si sia verificata nessuna VERA rivolta. Il Provveditore Penitenziario Enrico Sbriglia (responsabile dal Brennero fino al Tronto) ha usato per questa iniziativa parole come “alveo pacifico”, “civismo”, “modo corretto di protesta”. Recentemente il filosofo Aldo Masullo, dialogando con il direttore di Poggioreale, coglieva la paradossale contraddizione tra la compostezza della popolazione detenuta e la “piccola folla di cittadini liberi e facinorosi che fuori dal Parlamento lancia invettive e minacce contro i deputatiues”Se le manifestazioni di oritesta ciontinueranno mantenendo l’aveoRecentemente Aldo Masu rei di aver votato una legge”; concludendo che i detenuti “mostrano una intelligenza del diritto che oggi non pochi cittadini liberi vanno perdendo, o forse non hanno mai avuto”, attribuiva questa evoluzione alla paziente e persistente opera del Partito Radicale stesso.
Non è questo però il punto, quanto il fatto che il SAPPE colga occasione per rimettere in discussione (anche se non esplicitamente) il sistema di “vigilanza dinamica” che con quanto sopra non ha nulla a che vedere e che, come confermatoci a Gennaio dalla direttrice di Rieti, funziona senza dare problemi.
Ancora peggio è usare in questo contesto l’episodio di incendio della cella da parte del sospetto omicida di vicolo Barilotto. Attribuire “l’intenzione di alimentare una nuova protesta sulle stesse motivazioni” (il sovraffollamento) del pacifico sciopero della fame ad un detenuto in carcere da pochi giorni ed in isolamento, non ha alcun senso.
Altri sono i problemi del carcere di Rieti; per rimanere a questo episodio, è la mancanza di un reparto psichiatrico al quale un individuo con precedenti di due perizie psichiatriche forse doveva subito essere tradotto, e la generale assoluta insufficienza del servizio di psichiatria che, almeno per come risultava a gennaio, opera per solo qualche ora a settimana per 300 persone.
Bene certo fa il sindacato ad evidenziare le carenze di organico, che possiamo immaginare siano anche alla base del fatto che un ristretto con precedenti di tre incendi di cella e in carcere perché avrebbe appiccato un incendio, abbia possibilità di ripetere in cella il suo gesto.
Ma non è dando una visione distorta o quanto meno parziale del mondo penitenziario che si aiuta la comunità. Comunità penitenziaria che comprende detenuti e detenenti, i cui interessi viaggiano paralleli.
Occorre inoltre che anche i detenuti abbiano la possibilità di far sentire i loro problemi. In questo, sarà importante che la nuova amministrazione attivi la figura di Garante per i Diritti delle persone private della libertà personale, carica che non prevede alcun corrispettivo od emolumento ma che attende dal 2013 di essere concretizzata.
Marco Giordani – Segretario Sabina Radicale