A Santa Maria Capua Vetere si sta svolgendo il processo per il pestaggio che avvenne durante una spedizione punitiva seguita alle rivolte-covid del marzo 2020. Quelle rivolte ricordiamo che videro anche diversi morti, in particolare a Modena (nove) ed a Rieti, dove morirono tre detenuti: Marco Boattini, Ante Culic e Carlos Samir Perez Alvarez.
La novità di questi giorni è che è in atto laggiù un tentativo di impedire la messa online della registrazione del processo da parte di Radio Radicale.[1]
Ricordiamo che il processo è stato possibile grazie a delle telecamere lasciate inavvertitamente accese; Il processo, e l’accertamento dei fatti sono stati giudicati dallo Stato Italiano di pubblico interesse, tanto che quando la verità venne a galla, all’istituto si recarono in visita la Ministra Cartabia ed il Presidente Draghi e lo Stato si è costituito parte civile.
Di altrettanto pubblico interesse dovrebbe essere togliere ogni ombra su quanto accaduto negli stessi giorni a Rieti. Benché la Commissione ispettiva costituita dal DAP abbia stabilito che la rivolta è stata gestita in modo corretto ed efficace, è noto da tempo che anche in Procura a Rieti è aperta un’indagine; ne diedero conto diverse testate e ce lo ricorda per ultima un’inchiesta pubblicata su Il Domani il 15 Gennaio di quest’anno, oltre due mesi fa.[2]
La stessa inchiesta riporta virgolettati di ex detenuti (ovviamente da verificare da parte degli inquirenti): «Entravano in cinque-sei guardie in cella per fare la perquisizione, ci facevano spogliare e uscire. Dovevamo percorrere un corridoio di una cinquantina di metri, un agente ci teneva la testa bassa e le braccia bloccate e circa 20 guardie a destra e 20 a sinistra ci davano pugni, schiaffi, manganellate e ci insultavano», racconta uno di loro. «Ci mettevano tutti in una stanza e finite le perquisizioni dovevamo rifare il percorso e riprendere le botte». Scene che, se veritiere, ricordano quanto visto nei filmati di Santa Maria Capua Vetere. Secondo un altro ex detenuto gli agenti erano una cinquantina. «Non erano quelli di Rieti, loro erano abbastanza gentili. Era una squadretta che veniva da fuori. Hanno voluto dare una punizione per mostrare chi comandava, soprattutto contro quelli che pensavano avessero avuto un ruolo nella rivolta»
Il giornalista de Il Domani (Luigi Mastrodonato) riporta di non aver avuto commenti né dall’Istituto né dalla Procura. Non sono tuttavia questi silenzi a stupirci quanto quello della città: possibile che nessuno che si occupi di comunicazione in città abbia notato un lungo servizio su Rieti, pubblicato su un giornale a tiratura nazionale?
In un libro sui fatti di Modena, l’autrice Sara Manzoli scrive che «la cortina fumogena calata sui fatti di Rieti è ancora più intensa e impenetrabile di quella scesa su Modena e altre carceri».
Quello che Sabina Radicale torna a chiedere, oltre all’accertamento dei fatti, è che Rieti non consideri il proprio istituto come qualcosa a sé estraneo. E pensiamo in particolare alle sue Amministrazioni Comunali, ricordando che il 10 Maggio saranno dieci anni dalla istituzione della figura del Garante dei Diritti delle persone private della libertà personale[3], mai nominato benché – recita il suo Regolamento – “non dà diritto ad alcun corrispettivo o emolumento”.
[1] https://www.fanpage.it/napoli/violenze-in-carcere-a-santa-maria-capua-vetere-stop-a-radio-radicale-non-potra-registrare-le-udienze/
[2] https://www.editorialedomani.it/fatti/quelle-morti-nel-carcere-di-rieti-rimaste-nel-silenzio-ecco-cosa-e-successo-f2w7d3ji
[3] https://www.comune.rieti.it/article/13/05/garante-dei-diritti-delle-persone-private-della-libert%C3%A0-personale