Leggiamo dell’ennesimo evento critico avvenuto nel carcere di Rieti ai danni di un agente penitenziario da parte di un detenuto con problemi psichiatrici.
Siamo solidali con gli agenti e l’agente coinvolto e ci auguriamo che, a livello nazionale, si ponga mano a ciò che è dietro a queste “aggressioni”: il sovraffollamento, la carenza di organico, il trattamento non adeguato di soggetti psichiatrici.
A nostro avviso, questi episodi debbono vedere uniti e concordi tutti coloro che hanno attenzione per il mondo penitenziario, evitando strumentalizzazioni e fughe in avanti.
Ci riferiamo alla contestuale richiesta, da parte dei sindacati USPP e SAPPE, di disponibilità del taser. Richiesta che non è nuova, si ripete da anni, anche da altri sindacati (ad esempio il SiNAPPe).
Il taser è un’arma, così definito dal Vademecum di Uso della Polizia di Stato, il quale raccomanda che “l’utilizzatore deve essere prudente nell’uso del Taser, che deve essere trattato con la stessa attenzione con cui si tratta un arma da fuoco” e che segnala come “la distanza ottimaledi tiro è compresa da 2 a 5 metri, il tiro utile giunge sino a 7,5 metri circa”.
Il taser è insomma un’arma che, a distanza, consente di bloccare un individuo pericoloso senza ucciderlo (anche se il rischio di morte esiste comunque).
Ad esempio un suo opportuno uso avrebbe potuto essere per quanto accaduto a Villa Verucchio, dove per bloccare un individuo incontrollabile, il Carabiniere Masini ha invece usato la pistola uccidendolo.
Ma come si può sostenere e ripetere che il taser possa essere utile in situazioni come quella riportata, in cui addirittura l’agente è stato aggredito alle spalle? O in cui riceve un pugno “improvviso” durante una perquisizione o all’interno di un reparto di Diagnosi e Cura? Già nel 2007 il DAP (nota 00922858 del 21.3.2007 “Uso legittimo delle armi da parte del personale appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria”) si era espresso nettamente, muovendo dai Principi Costituzionali, sull’uso delle armi da parte della Polizia Penitenziaria; ad esempio “Per unanime e consolidato orientamento giurisprudenziale, la mera fuga è una forma di resistenza passiva, e pertanto l’uso delle armi per fermarla è sempre illegittimo” e “Nel caso di resistenza attiva con violenza sulle persone, [..] la violenza portata senza armi non giustifica mai una risposta armata”.
Questo governo non è certo insensibile ai richiami dal corpo di Polizia Penitenziaria; si pensi al sottosegretario Del Mastro Delle Vedove, la cui scorta da sempre è composta da distaccati dal Corpo.
Se da anni questa richiesta sindacale del taser – nel frattempo concesso anche ai Vigili Urbani – non viene accolta è perché quelle motivazioni del 2007 sono tutt’ora valide ed ancor più per un’arma con le caratteristiche tecniche del taser.
In quest’ottica l’insistere sul taser pare essere solo un gioco a scavalco tra le varie sigle sindacali, che è quanto di meno c’è bisogno nel mondo carcerario: occorre invece unità tra tutte le voci, perché quella di condizioni umane di detenzione è una battaglia per tutti gli attori e che si può vincere solo tutti insieme.