Venerdì 3 Aprile la stampa locale riportava che erano “risultati
positivi al Covid-19 [..] cinque addetti dell’area sanitaria della casa
circondariale”; esame presumibilmente ordinato dalla ASL, da cui dipende l’area
sanitaria del carcere.
Da quanto abbiamo appreso, non sembra che a seguito di ciò
siano stati effettuati esami su quanti (agenti, operatori e soprattutto
detenuti) fossero venuti a stretto contatto con i cinque operatori sanitari.
Diciamo “soprattutto detenuti” non perché la loro salute
abbia un valore superiore a quello degli agenti, ma perché gli operatori
sanitari sono lì per avere contatti di carattere medico, si presume anche ravvicinato,
con i detenuti.
Ora, qualora i sanitari abbiano portato il virus dall’esterno,
possiamo ragionevolmente pensare che nessuno dei detenuti abbia ricevuto il virus
da uno dei cinque sanitari? Crediamo di no.
Altra ipotesi è che i sanitari abbiano contratto l’infezione
nel proprio ambiente di lavoro, come accade anche per loro colleghi negli
ospedali. Solo che negli ospedali è normale che il virus sia presente; in
carcere ci si aspettava, chissà perché, di no.
Comunque sia, oggi quasi certamente il virus gira nel
carcere. Gira in un ambiente di massima promiscuità, dove è impossibile il
distanziamento; dove non esistono mascherine neppure fai-da-te, dove
solitamente anche saponi e disinfettanti sono merce rara.
Ormai tutto il mondo, tranne il Governo Italiano, ritiene
necessario alleggerire le presenze in carcere, e questo grazie alla
Magistratura di Sorveglianza sta già accadendo, seppur insufficientemente.
Ma il problema che qui poniamo è anche per chi, comunque, rimarrà recluso.
Finora, nel mondo libero, quando si trova un singolo positivo,
vengono posti in quarantena tutti coloro che abbiano avuto con esso un
contatto. Quando poi la positività è riscontrata in comunità (e pensiamo alle
RSA) sono sottoposti a tampone tutti gli ospiti (centinaia di persone) ed in
seguito anche tutta una cittadina (migliaia). Perché nel carcere, tanto più con
la impossibilità di preservarsi, nulla di ciò è stato fatto?
Certo ci sembra impossibile, dati gli spazi, porre ogni
detenuto in isolamento di quarantena. Perciò è indispensabile, quanto prima,
procedere a dei tamponi a tutta la popolazione carceraria (detenuti, agenti,
operatori).
Questo perché il virus lì dentro gira e quando esploderà il
contagio, esso coinvolgerà tutti. E tutti saranno coinvolti dal panico, non
avendo come difendersene.
E se qualcuno penserà “meglio, sfoltiamo un po’ di feccia”
non si illuda che questa bomba non deflagri anche all’esterno.
La amministrazione penitenziaria, nei suoi vertici – pur con
i loro evidenti limiti -, questo non può non capirlo e non saperlo (anche se in
Parlamento sostiene ancora che a Rieti nella rivolta siano morti in tre e non
in quattro). E’ però probabilmente mossa da priorità diverse da quelle della
nostra città, con il suo ospedale già in sofferenza, e niente affatto
impermeabile al proprio carcere.
Chiediamo perciò che chi ha autorità, di qualsiasi tipo, si faccia sentire o faccia
qualcosa finché si è in tempo a limitare il danno: la Protezione Civile, la ASL,
il Sindaco (non dimentichi di essere l’autorità sanitaria locale), il Prefetto (che
peraltro è già dovuta intervenire per le case di riposo), magari anche il
Vescovo, facendo eco locale all’invocazione di Papa Francesco.