Le cronache cittadine ci riportano dello smantellamento di “baracche dello spaccio” sotto Ponte Cavallotti.
Partiamo innanzitutto da due considerazioni: la prima è che in questa città, da anni dei senza dimora cercano un riparo sotto i ponti, dal ponte Giovanni 23° al ponte Felice Cavallotti; la differenza è che sul secondo c’è un po’ più spazio per viverci. Chi ricorre a queste sistemazioni di fortuna? Persone in condizioni di disagio e tra queste probabilmente alcune per sopravvivere lavorano nello spaccio di sostanze, gestito dalla criminalità.
La seconda considerazione è che lo spaccio come attività in sé non ha bisogno di un “ufficio”; del resto le foto diffuse non paiono, come scritto, “materiale utilizzato dagli spacciatori per la loro attività”. Si spaccia a domicilio (del fornitore o del consumatore) o in strada; se quelle baracche veniva usate per spacciare, è perché erano abitazioni dei fornitori.
Cosa traiamo da queste considerazioni? Semplicemente che questo fenomeno delle “baracche dello spaccio” viene da come i governi italiani hanno non-gestito, e continuano a non-gestire, due fenomeni strutturali: le migrazioni e l’uso di massa di sostanze “stupefacenti”.
Se è normale però che del rispetto delle leggi si occupi la Questura, il problema sociale dei senza dimora attiene invece alla comunità ed al Comune, che non se ne occupa. Di questo si occupi il Sindaco, e lasci il lavoro di polizia alla Polizia, e non si avventuri in cose che non gli competono.
Affermazioni come quella con cui si scaglia contro coloro “che si battono per la liberalizzazione delle droghe e che per anni al Governo hanno attuato politiche estremamente permissive nei confronti dell’immigrazione clandestina” meglio che le eviti.
Per sua conoscenza, la “droga” è oggi che, di fatto, è libera: chiunque la voglia, ha modo di procurarsela, ad ogni ora del giorno e della notte – senza nessuna garanzia per la salute, ed ingrassando la mafia. Represso lo spaccio da un luogo la si spaccerà altrove, arrestati gli spacciatori se ne troveranno altri, e se tutti i “clandestini” finissero in carcere, riprenderebbero a farlo gli italiani bianchi.
Quello per cui ci battiamo, e verso cui la comunità internazionale sta andando, è invece una “legalizzazione”, cioè controllo e paletti da parte dello Stato, come avviene per sostanze che fanno molte più vittime come tabacco ed ancor più alcool, del quale ci dice Eurispes grande uso fanno – e sappiamo, anche in questa città – i giovani[1].
E se dunque fa più morti l’alcool libero e legale della droga libera ma illegale, il Sindaco dovrebbe farsi fotografare con la Polizia non solo tra le baracche sotto i ponti, ma anche per i locali cittadini nei fine settimana, sul tardi, verificando che, nel rispetto della legge, non si vendano shottini ai minorenni.
Ovviamente la legalizzazione eviterebbe l’affannosa e sterile rincorsa a cui le nostre forze dell’ordine – e a seguire tribunali, carceri – sono costrette, sottraendo le scarse risorse alla vera criminalità (quella con delle vittime).
Quanto poi alla immigrazione “clandestina”, siamo sempre in attesa della soluzione di tutto: il blocco navale, che come dirigente di Fratelli D’Italia a settembre ci aveva promesso.
[1] Secondo un rapporto Eurispes del 2018, l’alcool aveva fatto 435mila morti in Italia in 10 anni, ed oltre la metà dei minori ha acquistato alcolici (54,4%) nonostante la legge italiana lo vieti. http://www.rainews.it/archivio-rainews/articoli/alcol-uccide-piu-di-fumo-e-droga435mila-morti-in-Italia-in-10-anni-8cb848a0-1ad0-465c-96a4-9c39276bc745.html