È finita come doveva finire la vicenda dell’accampamento vicino Forano di 70 pacifici nomadi, che come loro millenario costume, si muovevano per recarsi dove volevano: puliti, ordinati, rispettosi: «hanno mantenuto le promesse che mi avevano fatto sin dai primi giorni di permanenza; hanno pulito e gettato l’immondizia prima di lasciare la zona, che è tornata perfettamente in ordine» come ha riportato il sindaco di Forano e questa era l’immagine che ci rimandava anche la foto del Messaggero, con le roulotte bene allineate e le lenzuola stese al sole.
È finita bene, nel migliore dei modi, ma la nostra opinione è che sia stata mal gestita e la nostra comunità provinciale abbia dato una pessima prova di sé. Non pensiamo al sindaco di Forano, che ha operato al meglio, stretto tra le fobie di suoi cittadini e la tranquilla realtà, anche se la formula dubitativa del “sembra si stiano comportando correttamente” avrà rafforzato qualche pregiudizio.
Non pensiamo al Messaggero, che ha seguito il fatto e che ha sicuramente riportato l’atmosfera che si respirava (“pressioni che quotidianamente arrivano dalla cittadinanza che esprime paure e preoccupazioni”), anche se qualche parola come “invasione” non ha aiutato a leggere la realtà. È stato un’altro tipo di gestione, che è mancata: nessuna istituzione, né civile, né politica, né religiosa si è sentita in dovere di evidenziare che a fronte di un normale spostamento di cittadini pacifici, non c’era nessun reato e nessun pericolo.
Anzi, i segnali sono stati altri: davvero c’era “allerta” in Prefettura? E c’era bisogno di assicurare che il monitoraggio dei Carabinieri era “capillare”? È stata silenziosamente instillata nella opinione pubblica la “necessità” del reato e del pericolo, giacché gli zingari necessariamente debbono delinquere perché zingari; sì, solo perché zingari, giacché inesistente era stavolta il paravento ipocrita della necessaria delinquenza per precarietà, del degrado morale conseguente alla sporcizia dei campi rom di borgata, dell’abbandono e sfruttamento dei bambini.
E allora questo silenzio, questo abbandono della gente alle proprie paure immotivate non si abbia paura di chiamarlo razzismo. Né onore alla provincia è stato aggiunto dalla sedicente “Associazione nazionale Interforze” o “Consulta nazionale sulla Sicurezza Sociale”, tanto più perché proveniente da persone che dicono di intendersi di sicurezza e criminalità, e come tali riconosciute ed omaggiate da Prefettura e Provincia di Rieti: è gente questa che fa sicurezza? O genera insicurezza?
C’è davvero bisogno in provincia, dove già Polizia, Carabinieri, Forestale e Finanza infondono sicurezza con il loro frequente relazionare sulle attività quotidiane di “prevenzione e repressione”, di dare rilievo ad associazioni di questo tipo? Noi pensiamo di no; pensiamo che la sicurezza non debba diventare da professione un mestiere; e crediamo che le Istituzioni debbano fare chiarezza sul loro accostamento politico ed istituzionale a questi sedicenti “Enti Istituzionali”.
martedì 8 marzo 2011
Quando una settimana fa abbiamo chiesto che qualcuno si esprimesse sulla cosiddetta “invasione dei rom”, non immaginavamo cosa sarebbe successo e come ci si sarebbe espressi. Oggi che anche l’ultima roulotte ha lasciato il territorio provinciale, ne possiamo fare un bilancio? Possiamo sperare che lo si farà, intorno al “tavolo” che in tanti chiedono a gran voce, anche dopo la fine del “problema”? Quanti furti? Quanti bambini rapiti? Quanti autoveicoli vandalizzati?
Si dirà che “per fortuna nessuno, grazie alla sorveglianza assidua ed ai turni raddoppiati davanti alle scuole”. Ah! Magari avere questa controllo del territorio e sorveglianza assidua anche quando qualcuno scarica nel lago 3 metri cubi di Eternit! E quante dichiarazioni? Sì, anche noi abbiamo notato il silenzio della destra (la dichiarazione di Basilicata era dovuta per motivi elettorali).
E non solo di essa, ma anche del nuovo centro, della vecchia sinistra e dei dipietristi “legalisti”. Ma ci chiediamo se ciò sia stato davvero un male, a fronte della confusione creata ad arte da chi ha dichiarato. Sì, ad arte, perché come si fa confondere un passaggio di una carovana di pacifici puliti zingari nomadi, provenienti dal Nord, con uno stanziamento di delinquenti sporchi zingari stanziali della periferia romana?
Quali elementi hanno avuto i sindaci per “pensare che la dinamica [fosse] legata magari a ciò che accade nella città di Roma e dei numerosi sgombri che in questi mesi si stanno susseguendo nella Capitale”? Perché hanno dichiarato che “alcuni gruppi di nomadi hanno scelto i territori della Bassa Sabina per stanziarsi”, quando evidentemente essi erano di passaggio, assicuravano di esserlo, e lo sono stati? E per carità di patria tralasciamo il non detto, cioè gli accenni non circostanziati a “dinamiche sociali”, “convivenza civile”, “sicurezza urbana”, “garantire ai territori della Sabina la dignità che meritano”.
E si badi bene, non stiamo riferendo dichiarazioni strappate ad un cronista e non meditate, ma un meditato documento stilato da un consesso di ben sei sindaci. Confusione con i campi delle borgate romane, le troviamo anche nei comunicati del PD: se il prudente Lodovisi parla di “presenza” ma anch’egli si lancia poi a parlare (a che proposito?) della dislocazione chiesta da Alemanno, Perilli non si perita di considerarli già “campi” e di attribuirne la responsabilità al Comune di Roma, chiedendone conto, per buon peso, alla Regione.
Anche SEL, che nei comunicati da Cantalupo e Fara si è mostrata capace di distinguere, e forse anche di dubitare della pericolosità della situazione, è sembrata non voler correre il rischio di essere impopolare. In questo scenario, davvero non ci facciamo vanto di essere rimasti soli con le nostre caratteristiche: avere il coraggio di essere impopolari per non essere antipopolari e chiedere alle istituzioni, piuttosto che “tavoli”, il rispetto delle norme che essa stessa si dà e disattende. Ci riferiamo alla Legge Regionale 24 maggio 1985, n. 82, ‘Norme in favore dei Rom’ che parrebbe del tutto inapplicata sul territorio della Regione.
La legge, che “detta norme per la salvaguardia del patrimonio culturale e l’identità dei Rom e per evitare impedimenti al diritto al nomadismo ed alla sosta all’ interno del territorio regionale nonché alla fruizione delle strutture per la protezione della salute e del benessere sociale”, prevede norme ben precise riguardo le modalità di costruzione dei campi di sosta e di transito, ed erogazione di contributi a comuni e comunità montane per la loro realizzazione, gestione e manutenzione; prevede anche (entro 60 giorni dal 1985!) l’istituzione di una ‘Consulta regionale per la tutela delle popolazioni Rom’ con, tra gli altri, rappresentanti di province, comuni e comunità montane.