Sabina Radicale segnala che Rita Bernardini, presidente di Nessuno Tocchi Caino, riporta sul proprio profilo FB di aver ricevuto per posta da un detenuto del carcere di Rieti una zecca, rinvenuta nell’Istituto. Dalla foto sembra che si tratti pare di una zecca molle, cioè non quella che vive all’aperto ma quella cosiddetta “dei piccioni” perché spesso associata e veicolata da questi animali e che trova il proprio habitat in sottotetti, torri, edifici abbandonati.
Il carcere di Rieti ha carte in regola per essere uno dei migliori dal punto di vista igienico, con ogni cella dotata di doccia ed acqua calda e personale e dirigenza attenti. Purtuttavia ci viene da pensare che esistano all’interno dell’istituto delle aree in cui il parassita ha modo di stanziare, in attesa di un ospite (necessariamente umano, nella circostanza) di cui nutrirsi.
Ci auguriamo che l’accaduto, di certo segnalato anche alla ASL, sia seguito al più presto da una opportuna disinfestazione.
Sabina Radicale ricorda come il Comune di Rieti debba ancora procedere alla nomina del proprio “Garante dei Diritti delle persone private della libertà personale”, figura istituita ben otto anni fa; nomina ancor più pressante oggi che è attiva in città anche una REMS, Residenza per autori di reato affetti da disturbi mentali.
L’associazione Sabina Radicale, in occasione della ricorrenza del XX Settembre, ha presentato al Sindaco di Rieti un’istanza, ai sensi dell’articolo 19 dello Statuto Comunale, affinché sia degnamente restaurata, rendendola leggibile, la targa posta in Via Pennina 27 recitante
IN QUESTA CASA
DOVE EBBE RESIDENZA IMMUTATA
L’ASSOCIAZIONE ARTIGIANA E DI PREVIDENZA
FESTEGGIANDO IL VENTICINQUESIMO ANNO DI SUA ISTITUZIONE
ED IL VENTISETTESIMO DI ROMA RESTITUITA A LIBERTA’
POSE A PERENNE MEMORIA
IL XX SETTEMBRE MDCCCXCVII
Nel 1897 l’Associazione Artigiana E Di Previdenza era censita dall’allora Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio tra le Società di Mutuo Soccorso e vantava 200 membri.
Il 12 Agosto è stata una giornata storica per la politica e l’esercizio attivo della cittadinanza. Mentre la raccolta firme per Eutanasia Legale procede con successo in Italia e a Rieti (ad oggi 2200 firme raccolte in città ed altre 500 in provincia) è ora finalmente possibile, in alternativa, sottoscrivere il referendum anche in forma digitale (con SPID o Carta d’Identità Elettronica) dal sito https://referendum.eutanasialegale.it/firma-digitale/
Questa modalità di sottoscrizione, a disposizione di tutti (in decine di migliaia hanno già firmato nel primo giorno di attivazione), sarà al momento particolarmente utile per chi soffre di disabilità e per gli italiani residenti all’estero che fino a ieri potevano farlo solo in Italia o nei consolati.
Dopo anni di vuote parole sulla democrazia diretta e partecipazione digitale dei cittadini, questo sì è un passo avanti nell’esercizio dei diritti politici e che attua diritti costituzionali sempre ostacolati.
A questa conquista si è arrivati grazie al ricorso, in sede delle Nazioni Unite, da parte di segretario e tesoriere di Radicali Italiani, Mario Staderini e Michele De Lucia, che denunciarono nel 2013 i numerosi ostacoli al diritto dei cittadini a promuovere referendum.
Ostacoli che l’ONU ha giudicato nel 2019 “irragionevoli” condannando l’Italia e richiedendo che le astruse regole, con cui tuttora stiamo raccogliendo firme, fossero modificate. E’ per inciso in questo contesto che recentemente lo Stato ha allargato la platea dei possibili autenticatori ad avvocati ed avvocate, che tanto ci stanno aiutando nella raccolta referendaria.
Rieti e Sabina Radicale sono state protagoniste di questa conquista davvero epocale (l’Italia è l’unico stato in cui la firma digitale è applicata per iniziative non solo di proposta ma con valore vincolante): tra le testimonianze portate all’ONU figurano infatti le difficoltà che nel 2013 si riscontrarono nella sottoscrizione di referendum presso il Comune di Rieti.
Sta andando a gonfie vele la campagna per il Referendum Eutanasia Legale: al 22 Luglio solo dai tavoli di raccolta sono arrivate 172mila firme, e ne sono stimate 200mila (per tavoli non ancora comunicati).
Ma dentro questo successo spicca quello di Rieti: i dati ufficiali al 20 Luglio dal Comitato Eutanasia Legale certificano l’ottimo andamento della raccolta che si sta ottenendo in provincia, già evidenziato dal gruppo “Eutanasia Legale Rieti” di Raffaele Fracassi con le quasi 1100 firme raccolte alla data.
Nella classifica per comuni tra 10mila e 50mila abitanti, Rieti è al 1° posto assoluto con 1408 firme raccolte in città, ed al 6° rispetto agli abitanti: 30 firme (naturalmente non tutte di reatini) per mille abitanti. Non solo: se Rieti (47mila abitanti) fosse stata nella soglia degli oltre 50mila, sarebbe stata la città al 1° posto rispetto agli abitanti.
Di questo risultato va reso grande merito a quel gruppo, con la sua costanza a presidiare ogni fine settimana le più movimentate piazze cittadine. Ma c’è poi anche Fara in Sabina, con 100 firme (8 per mille abitanti) raccolte dall’associazione MenteLocale (che replicherà domenica a Montopoli) e, tra i comuni sotto ai 10mila abitanti, ancora 6° per abitanti Frasso Sabino dove alla Fiera mensile Controvento e Sabina Radicale raccolsero 55 firme per mille abitanti (ma era la fiera, da 20 comuni diversi).
Mancano poi altre raccolte già effettuate a quella data, da Controvento a Monteleone Sabino e Poggio Moiano, e quelle in corso ma non ancora comunicate da avvocati, consiglieri comunali, sindaci. Anche qui l’attivismo in provincia spicca, con ben 17 tra sindaci e consiglieri che si sono registrati come “promotori” (ma anche diversi altri sono attivi); basti pensare che la Provincia e città di Roma ne conta 13 e la somma delle altre province laziali appena 8.
Importante sarà nelle prossime settimane, avendo battuto così intensamente il capoluogo – ma si continua, incrementare i tavoli in Sabina (già programmati tavoli a Poggio Mirteto per due venerdì) e farsi trovare dai cittadini – non solo reatini – quanto più in ogni angolo del nostro territorio (già programmato Terminillo nei fine settimana agostani).
Marco Giordani segretario Sabina Radicale referente locale EutanasiaLegale per Associazione Luca Coscioni referente locale EutanasiaLegale per Radicali Italiani
L’iniziativa organizzata a livello nazionale di fronte ai Tribunali nel momento in cui Walter De Benedetto sarà a processo ad Arezzo
Martedì 27 aprile, alle ore 12, attivisti dei Radicali, di associazioni, imprenditori e qui e là altri partiti, si ritroveranno con degli annaffiatoi di fronte ai Tribunali della propria città, in tutta Italia, in segno di solidarietà con Walter De Benedetto, che in quel momento andrà a processo ad Arezzo.
A Rieti, alla manifestazione promossa da Radicali Italiani, MeglioLegale ed IoColtivo.eu e organizzata localmente da Sabina Radicale hanno già aderito anche Cittadinanzattiva Rieti, il Tribunale del Malato Rieti, il Movimento civico “Rieti Città Futura”, la Federazione provinciale PSI, la Rieti LGBT+ associazione Arcigay, Controvento, PiùEuropa Rieti; hanno annunciato la loro presenza i consiglieri comunali Mauro Rossi e Simone Petrangeli. Per eventuali altre adesioni ed annunci di presenza o solo per maggiori informazioni: info@sabinaradicale.it
Walter De Benedetto ha 49 anni e fin dall’adolescenza soffre di artrite reumatoide, una malattia degenerativa che lo costringe a letto e provoca dolori atroci. Non c’è una cura per la sua patologia ma c’è il modo di soffrire un po’ meno: dal 2011 assume regolarmente cannabis a scopo terapeutico.
Pur in possesso di ricetta medica in questi anni Walter non ha ricevuto un adeguato quantitativo di farmaco utile alla gestione della sua malattia.
Da 14 anni, infatti, nel nostro Paese è consentito il ricorso alla cannabis terapeutica, ma il fabbisogno è superiore alla produzione e all’importazione del farmaco. Secondo il report Estimated World Requirements of Narcotic Drugs 2020 dell’International Narcotics Control Board, l’Italia ha un fabbisogno di 1.950 kg all’anno di cannabis medica. A fronte di tale domanda, sulla base di quanto pubblicato sul sito del Ministero della Salute, lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze (SCFM), nel 2019, ha distribuito alla farmacie cannabis per soli 157 kg.
Per far fronte alla cronica carenza di cannabis Walter ha deciso, assumendosene la responsabilità, di coltivare autonomamente la cannabis necessaria per la sua terapia. A seguito di questa decisione è sotto imputazione di coltivazione di stupefacente ai fini di spaccio. Per il suo amico Marco che lo aiutava annaffiando le piante, cosa che Walter non riusciva a fare, è scattata la messa alla prova e il suo “reato” si estinguerà se nel periodo di volontariato dimostrerà “ravvedimento e buona condotta”.
La evidente schizofrenia italiana sulle prescrizioni di cannabis terapeutica è però solo la punta dell’iceberg del più generale tema della criminalizzazione senza senso della cannabis. “Criminale non è Walter, criminale è una legge bieca e proibizionista”, dichiara Marco Giordani di Sabina Radicale, che aggiunge: “Dobbiamo lottare per la legalizzazione della cannabis, consumata da più di sei milioni di cittadini italiani. Non manifestiamo contro i tribunali e le forze di polizia, ma per loro, in quanto depenalizzare i reati legati alle droghe libererebbe forze dell’ordine e sistema giudiziario da migliaia di procedimenti inutili, e svuoterebbe le carceri. Basta regalare soldi alle mafie e alla criminalità organizzata, basta dannosi tabù, e sì a nuove imprese e posti di lavoro, a città più sicure, alla sicurezza sanitaria di ciò che i consumatori assumono. ‘Io non lo farei’ non deve mai diventare ‘tu non lo devi fare’. Essere in piazza a nostro fianco martedì significa manifestare il proprio dissenso a leggi dannose e vecchie. Il mondo ormai, addirittura in Messico e negli Stati Uniti, sta abbandonando il proibizionismo ed è tempo che anche l’Italia e l’Europa si pongano su questa via”.
Il sindaco Cicchetti non ha dato sufficienti spiegazioni alla cittadinanza in merito alla sua decisione di mantenere le scuole chiuse a Rieti, nonostante la riapertura decisa dalla Regione Lazio.
Cicchetti dichiarò tempo fa che essere “massima autorità sanitaria del comune” non gli desse più poteri che la obbligata firma di qualche TSO. Ora invece chiude le scuole adottando una misura restrittiva rispetto alla Regione. Qualcuno deve aver informato Cicchetti che in effetti dei poteri in materia sanitaria li ha, eccome, e questo è un bene. Tuttavia il potere si esercita, anche autocraticamente, fornendo gli elementi su cui si basa e trasparenza sulle motivazioni.
Dalla nota del Comune di Rieti si legge che “la decisione, a tutela della salute pubblica, è stata assunta anche in considerazione del fatto che la riapertura delle scuole in presenza per soli due giorni, prima della sospensione per le vacanze pasquali, esporrebbe la popolazione al rischio di contagio proprio nel periodo di maggior diffusione di nuove varianti che risultano essere più aggressive sulla popolazione giovanile”.
Innanzitutto ricordiamo che già il Presidente di Regione, in base al fattore di nuovi contagi settimanali, avrebbe titolo per lasciare comunque sia Rieti città che la provincia in zona rossa, essendo entrambe da giorni stabilmente ben oltre la quota di 250 contagi settimanali per 100mila abitanti (280 per il comune, 306 per la provincia).
Se fossero i dati epidemiologici generali ed ufficiali ad aver mosso Cicchetti, egli avrebbe dovuto rivolgersi a Zingaretti e sollecitare il proseguimento della zona rossa.
Invece la sua attenzione si è rivolta alle sole scuole. Ma che evidenze ha Cicchetti che le scuole di Rieti rappresentino una eccezione rispetto a quanto dimostrato nello studio su 7,3 milioni di soggetti, recentemente pubblicato su The Lancet, che dimostra l’assenza di correlazione tra riapertura delle scuole e diffusione del virus? Se gli insegnanti sono stati vaccinati con priorità insieme agli anziani, che senso ha tenere le scuole chiuse? Verrebbe da pensare che la ASL abbia fornito al Comune dati estremamente allarmanti sulle scuole, ma quali sono?
Nella stessa nota si legge infatti che “a chiedere di posticipare il rientro in presenza al 7 aprile per le attività didattiche del primo ciclo, erano stati anche alcuni dirigenti scolastici con una nota inviata al Sindaco nella mattinata odierna”, e la ordinanza specifica quali, anche citando le motivazioni che sarebbero (oltre alla allarmante – per tutti e tutti i luoghi – situazione epidemiologica) le “disposizioni di quarantena che coinvolgono alunni e personale”.
Dato per scontato che tre dirigenti sui cinque degli istituti scolastici cittadini non sono un comitato tecnico scientifico di epidemiologi, il fatto che la ordinanza citi virgolettando questo passaggio sulle quarantene fa capire che la richiesta sia stata di carattere organizzativo. Ma studenti e genitori hanno meno dignità e meno problemi organizzativi dei presidi? Sono stati ascoltati?
Queste disposizioni di quarantena inibiscono la ripresa di qualsiasi attività? E dove? E per quanto: finora non sono state gestite e come lo saranno da dopo Pasqua?
Poi forse la sanità pubblica o l’organizzazione scolastica non sono stati il solo motore della decisione: sulla stampa si legge che con questi giorni di chiusura si possono ultimare dei lavori edili, i quali verrebbe da pensare che evidentemente non possano essere svolti quando le scuole sono fisiologicamente chiuse (pomeriggio, festivi).
Triste vicenda questa che, così come presentata, conferma l’opacità delle decisioni autocratiche di Cicchetti, l’andare dietro ad istanze personali o corporative a scapito dell’interesse pubblico, che – specie in una città come Rieti – sta nella istruzione e nella qualità delle future generazioni.
In occasione dei tre anni dalla legge che istituiva le Disposizioni Anticipate di Trattamento (il cosiddetto “testamento biologico”) l’associazione Sabina Radicale ha condotto, in collaborazione con la Associazione Luca Coscioni, una indagine presso tutti i comuni della provincia di Rieti.
L’indagine fa seguito a quella effettuata su scala nazionale dall’Associazione Luca Coscioni a fine 2019, limitata ai comuni sopra i 60mila abitanti, quindi non coinvolgendo Rieti. L’indagine diede dati diversissimi da città a città: per rimanere nel circondario, Terni segnalò una DAT ogni 251 abitanti, ma Roma una ogni 849 e L’Aquila ogni 1219.
Questa reatina è la prima indagine “diffusa” in Italia, condotta su un territorio non urbano e coinvolge anche l’anno di pandemia 2020 e indaga su se i comuni si siano attivati nella trasmissione delle DAT alla Banca Dati Nazionale, istituita a fine 2019 e che finalmente rende molto più fruibili, in caso di necessità, le DAT depositate
I RISULTATI
Sono stati raccolti i dati di tutti i 73 comuni della provincia. Il campione comprende oltre 150mila abitanti, con solo 4 comuni (Rieti, Fara, Cittaducale e Poggio Mirteto) sopra i 5mila abitanti.
Sono state depositate DAT nel 47% dei comuni, per un totale di 278 DAT (72 nel capoluogo, 206 DAT negli altri comuni), con un rapporto di una DAT ogni 550 cittadini (647 per il capoluogo che quindi si pone sotto la media).
Le DAT si concentrano per il 65% in Sabina (che copre 60mila abitanti) dove ne è depositata una ogni 349 abitanti. Una ogni 926 cittadini invece nel resto della provincia, con Rieti e la conca reatina a 850, il Cicolano e Turano a 1750, l’alta valle del Velino a 950.
Che più della metà dei comuni non abbia avuto nessun deposito non stupisce se consideriamo che in provincia ben 37 comuni non arrivano ai mille abitanti. I più grandi comuni privi di DAT, di duemila abitanti, sono Poggio Bustone, Cantalice, Leonessa, Amatrice, Antrodoco e (unico fra questi in Sabina) Stimigliano.
I comuni (tutti in Sabina) con il più alto tasso di deposito DAT sono Collevecchio (1 ogni 88 cittadini), Toffia (94), Magliano Sabina e Vacone (113), Roccantica (134) e Poggio Nativo (139). Negli altri territori, Castel Sant’Angelo (178) e Borgo Velino (188). Il comune con più DAT, dopo Rieti con 72 DAT su 46mila abitanti è Fara in Sabina, secondo più popolato con 14mila abitanti che ne ha 34, poi Magliano Sabina con 32.
Solo il 7% delle DAT sono state depositate nel 2020 e il 74% si concentra tra seconda metà 2018 e prima metà 2019.
Riguardo il versamento delle DAT alla Banca Dati Nazionale, in solo 5 casi i comuni hanno segnalato di non averlo ancora fatto, avendo così l’indagine stessa dato loro l’opportunità di adempiere a questo importante passo della procedura.
ALCUNE CONSIDERAZIONI
La prima considerazione è che il tasso di deposito per popolazione nel nostro territorio “rurale” non è sensibilmente minore di quello nei grandi centri; singolare come il valore sia praticamente lo stesso tra i capoluoghi censiti dalla Associazione Luca Coscioni (una ogni 362 abitanti) e i nostri comuni della Sabina. Vero che l’indagine della ALC si fermava al 2019, ma abbiamo visto come il 2020 abbia contribuito solo per il 10%.
E’ probabilmente presto per trarre indicazioni dall’andamento annualedei depositi: il 2018 (con depositi concentrati nella seconda metà dell’anno) ha risentito dell’avvio della legge e dell’organizzazione dei comuni (le prime in provincia risultano quelle depositate ad aprile a Rieti con l’assistenza di Sabina Radicale[1]) e si può supporre che ci fossero cittadini già informati ed in attesa; per il 2020 la pandemia avrà avuto sicuramente il suo impatto, a quanto pare frenante.
Non si ravvisa una differenza tra comuni in base alla loro dimensione: l’unico comune urbano, il capoluogo Rieti di 46mila abitanti ha un tasso di una DAT ogni 647 abitanti, inferiore alla media della provincia.
Colpisce la notevole differenza nel tasso di depositi tra la Sabina, pur territorio “rurale” ed il resto della provincia. E’ ovviamente una differenza che si riscontra anche in molte altre occasioni ed indicatori, ma meraviglia una così marcata differenza su un tema che riguarda tutti indistintamente, e la cui informazione non crediamo sia stata veicolata differentemente a seconda dei territori. E’ probabilmente opportuno uno sforzo di comunicazione da parte delle istituzioni, anche locali; comunicazione che diventa “dovuta” nel caso della ASL, che su questo è inadempiente alla legge stessa che le prescrive l’obbligo di informazione.
SULLA OSSERVANZA DELLA LEGGE SU PUBBLICITA’ E TRASPARENZA
Vanno innanzitutto ringraziati tutti gli uffici comunali che hanno collaborato a questa indagine. Vediamo comunque come essi hanno reagito alla richiesta.
In 32 hanno risposto alla richiesta di accesso agli atti, effettuata il 3 gennaio, entro il termine di 30 giorni stabilito dalla legge. Altri 30 lo hanno fatto a seguito di una diffida inviata dopo 35 giorni. Per altri 5 è stato necessario dopo un altro mese un ulteriore sollecito, per altri 4 un quarto sollecito, ed un quinto sollecito per un altro.
Per due comuni (tra cui spicca il comune capoluogo) si è dovuto ricorrere al Difensore Civico regionalle; il comune di Rieti, in particolare, dopo sei richieste in tre mesi da parte del cittadino (quattro alla pec generale, due alla pec dei servizi demografici), ha risposto a quella del Difensore Civico; dunque, il Difensore Civico si rivela un arma efficace, a cui il cittadino può con fiducia far ricorso.
Sabina Radicale plaude alla decisione della cittadina di Borgo Velino di procedere alla realizzazione sul proprio territorio di un impianto per la cremazione di salme, il primo disponibile sul nostro territorio.
E’ evidente come la disponibilità di questi impianti sia semplicemente una necessità, essendo che in Italia nel 2019 oltre il 30% in Italia ed il 10% nel Lazio dei cittadini ha seguito questa pratica, in costante crescita.
E’ purtroppo ricorrente la opposizione di una parte della popolazione, che amministratori pur avveduti condividono definendola “psicologica” o temendo “ripercussioni sul turismo” (sic!). Già nel 2010 Sabina Radicale era intervenuta, in solitudine, a sostegno della iniziativa dell’amministrazione di Pozzaglia Sabina, poi bloccata per miope insorgenza della popolazione, colpevolmente affiancata da politici che, in epoca pur pre-populista, scelsero di cavalcare il malessere, abdicando al proprio compito.
Un anno fa il Sindaco Ranalli di Cittaducale, commentando le rimostranze di alcuni, auspicò un coinvolgimento della Provincia, per una “una pianificazione territoriale dei servizi” di cui non abbiamo avuto evidenza.
L’ iniziativa di un piccolo comune, certamente mosso anche dagli indubbi vantaggi economici, mostra ancor di più le carenze del Comune di Rieti, nelle diverse giunte succedutisi; Comune capoluogo per il quale l’iniziativa avrebbe assunto anche l’aspetto di servizio alla cittadinanza propria e della provincia. Un Comune pur costantemente alle prese con problemi di spazi cimiteriali (si è giunti all’arresto di dipendenti accusati di vendere loculi!) e nel quale il tema carsicamente riappare, senza mai arrivare a compimento.
Tamponi fatti dopo la rivolta per contagio da forze dell’ordine?
In un articolo di stampa apparso
domenica scorsa in cui si dava la buona notizia della guarigione dal Covid-19 di
un infermiere del carcere di Rieti, vengono riportate delle affermazioni,
evidentemente comunicate dalla ASL, che destano perplessità.
Si sostiene che la ASL, in una “operazione
preventiva”, “subito dopo la rivolta del 10 marzo scorso (in piena pandemia),
ha pensato bene di sottoporre tutto il personale medico-sanitario a tamponi
visti gli interventi delle forze dell’ordine ed un via-vai di addetti ai lavori
che in qualche modo avrebbero potuto contaminare l’ambiente”.
La prima perplessità è sul perché
la contaminazione avrebbe riguardato solo gli ambienti sanitari (pensiamo che
gli agenti della penitenziaria fossero stati sicuramente più coinvolti nel via-vai
di addetti ai lavori). Poi sulla affermazione, oltre un mese dopo, che il 10
Marzo si fosse “in piena epidemia”: il 10 Marzo e fino al 12 in tutta la
provincia erano registrati solo 3 positivi, di cui 1 solo a Rieti città.
Questione che ci sta a cuore (vedi
le note di Sabina Radicale del 10
e del 15
aprile) è se siano stati fatti in quel “subito dopo la rivolta” anche tamponi a
detenuti. Finora avevamo notizia che a Rieti non fossero stati fatti, ma proprio
qualche giorno fa è stata presentata dal radicale, deputato di Italia Viva Roberto
Giachetti una interrogazione
parlamentare che chiede di conoscere l’esito dei tamponi sui detenuti
trasferiti: ci si ricorda infatti che il Ministro Bonafede l’11 Marzo affermava
in Parlamento che “d’intesa con la protezione civile, sarebbero stati
effettuati i tamponi ai detenuti trasferiti a vario titolo”. Chi ha fatto
questi tamponi? La ASL di partenza (Rieti) o quella di destinazione? E quale ne
è stato l’esito?
L’ultima e più rilevante
perplessità è su quando siano stati fatti i tamponi ai sanitari (e di conseguenza
a seguito di cosa). L’articolo ci dice che la positività era stata comunicata
all’infermiere il 31 marzo; la positività (probabilmente dopo il secondo
tampone) era infatti inclusa nel bollettino ASL del 2 Aprile, dove figura un
nuovo positivo residente nel piccolo comune (Petrella Salto) dell’infermiere, e
quella dei 5 operatori è stata comunicata dalla stampa il 3 Aprile.
Ma come è possibile che la “operazione
preventiva” di tamponi, fatta “subito dopo la rivolta” (già sedata l’11 Marzo) avrebbe
“dato i suoi frutti” solo tre settimane dopo? Come non pensare che questi
tamponi siano stati fatti non “subito dopo” il 10 ma più probabilmente un paio
di settimane dopo? Il 26 erano stati annunciati i primi 25 positivi da RSA; è
stato forse a quel punto che, giustamente, si è ipotizzata da parte della ASL una
diffusione del virus all’interno del carcere? Perché RSA e carcere sono
comunità molto simili, da questo punto di vista, anche se la Direttrice
Generale parlando di test sierologici (che hanno diverso obiettivo rispetto ai
tamponi) da fare nelle “cosiddette comunità chiuse, ovvero Rsa, case di riposo
e strutture socio-residenziali” non cita il carcere, comunità chiusa per
antonomasia.
La ASL si vanta dei solo 15 dipendenti contagiati, ma 5 sono dal carcere!
Nei giorni passati, commentando la notizia di 5 operatori sanitari del carcere risultati positivi al coronavirus, chiedevamo che fossero applicati a detenuti ed agenti i protocolli validi all’esterno: isolamento o tamponi.
Oggi ci giunge dalla ASL di Rieti notizia che “solo” 15 siano
complessivamente i dipendenti positivi; il che, se ben 5 di loro vengono dal
carcere, ci conferma nella nostra preoccupazione.
Né la ASL, in questi giorni molto feconda di comunicazioni
(per lo più giustamente), si è data pena di informare circa la situazione ed il
cosa fare in carcere, vero buco nero nel territorio visto che la DG ha affermato
che la ASL “effettua accurate indagini epidemiologiche su tutto il
territorio provinciale”
Cosa fare? In Veneto la ASL di Verona (che lassù si chiama
ancora ULSS) sta effettuando una campagna di tamponi ai frequentatori della
Casa Circondariale di Verona, di dimensioni simili alla nostra, dove intanto il
4 aprile venivano consegnate dalla Amministrazione Comunale 560 mascherine e 50
tute e veniva sanificato tutto da parte dell’Esercito. Al momento risultano
positivi, benché (o “per ora”) asintomatici, 25 detenuti sui 60 finora
controllati e 17 agenti.
I sindacati ed i parlamentari locali di maggioranza
(D’Arienzo PD e Businarolo M5S con diversi accenti) chiedono di procedere con
solerzia con tamponi a tappeto su tutta la popolazione carceraria, di detenuti
ed agenti.
Il governatore Zaia ha dichiarato che a livello regionale
“una volta conclusi i tamponi a operatori sanitari, ospiti e dipendenti delle
case di riposo, partiamo nelle carceri”.
Ci chiediamo se, nell’inerzia colpevole del governo nazionale,
qualcuno a Rieti tra Regione, ASL, Sindaco (autorità sanitaria locale), parlamentari
di maggioranza (Melilli, Lorenzoni, Fusacchia), sindacati, possa adoperarsi
perché sia fatto, prima che sia troppo tardi, ciò che deve essere fatto.